Love and other drugs (2010)

Tornando a un altro film “datato” e immune dal politicamente corretto, troviamo Love and other drugs, una commedia ambientata nell’ultimo lustro degli anni ’90, che maschera con un sorriso di circostanza il tragico mercimonio dei corpi in cui viviamo. Tratto dal libro autobiografico Hard Sell: The Evolution of a Viagra Salesman del venditore della Big Pharma Pfizer Jamie Reidy, pubblicato nel 2005.

Il film si traveste da commedia spensierata, ma non lo è per niente. Quello che fa è far divertire lo spettatore tenendolo sospeso sopra il mare di marciume nel quale in realtà siamo immersi tutti quanti. Realizzata in collaborazione con Jamie Reidy (infatti il protagonista interpretato da Jake Gyllenhaal si chiama Jamie Randall), la pellicola è una denuncia perfettamente riuscita e mai banale che mostra lo sfacelo della nostra società capitalista “moderna e civilizzata” basata sul mercimonio della carne umana. Carne di pazienti contesa tra le Big Pharma come manzi tra macellai al mercato del bestiame; carne di uomini e donne che di fatto si prostituiscono per ottenere un utile in termini di avanzamento di carriera, di prestigio o di benessere momentaneo; carne di pornostar sconosciute di cui contano “solo alcune parti del corpo” per citare Josh, il fratello minore di Jamie, dipendente dal porno online e in crisi matrimoniale per questo.

In tutto questo tripudio di carne oggettificata per fare soldi, serpeggia un’altra denuncia alla società sanitaria statunitense: a fronte di Case Farmaceutiche multimilionarie e medici ricconi la grave impossibilità per i pazienti di ottenere cure e assistenza gratuite, nemmeno per i malati a vita. Per non parlare dei senzatetto.

Il film svela agli spettatori, sbattendoglielo in faccia, come i farmaci (drugs) e l’amore carnale (love) siano vissuti da noi occidentali come la panacea dell’umanità. I primi sono approcciati come fonte di vera salvezza, equilibrio e benessere, uno scimmiottamento della mensa eucaristica a cui tutte le genti non possono rinunciare per stare bene. Il secondo viene vissuto come una dose di droga con cui spegnere il cervello e prendersi una pausa da sé stessi o viene pervertito in una spersonalizzazione mortificante. E quale miglior argomento da trattare per unire le due cose del Viagra, la magica pillolina blu scoperta per caso dalla Pfizer e che farà decollare la carriera di Jamie?

In mezzo a tutti questi letti (siano essi d’ospedale o d’amore), ecco il gigantesco elefante nella stanza: l’anaffettività radicata, l’incapacità di tenerezza, l’incomunicabilità, la tragicommedia della parlantina fluida e ultrarapida del venditore che intrattiene, seduce e convince senza in realtà dire assolutamente niente di autentico o in grado di durare. Aria fritta, vapore, fumo negli occhi. “Sono un prestigiatore” dice di sé stesso Jamie, il protagonista, il cui corpo mima un attacco di cuore quando lui sente l’impulso di pronunciare il primo “ti amo” della sua intera vita affettiva (compresi genitori e famigliari, non solo amanti).

“Che fai?!” grida scandalizzato suo fratello Josh, il porno-dipendente e più che inopportuno nella vita reale, quando Jamie lo abbraccia per confortarlo dopo la rottura del suo matrimonio. “Noi non ci abbracciamo in famiglia!” e si scansa terrorizzato dal semplice contatto con il sangue del suo sangue.

E poi, Maggie. La magnifica Anne Hathaway ha voluto per il suo personaggio, una ventiseienne malata di Parkinson al I stadio, una disinibita manifestazione del corpo nudo e una voracità che la rendesse simile a una dea del sesso. Anche per lei la gabbia emotiva è enorme, ma nel corso della storia Maggie svela della sua interiorità tanto quanto svela del proprio corpo all’inizio. È infatti la consapevolezza che la sua malattia la porterà inevitabilmente a perdere via via il controllo del proprio corpo, ciò che la rende tanto disperatamente determinata a godere appieno della sue funzionalità, fintanto che reggono. Emblematica in tal senso la scena del tremore sempre più forte che coglie la sua mano mentre si lascia totalmente andare con Jamie e geme di sofferenza più che di piacere, finché lui le stringe forte proprio quella mano.

Jamie e Maggie non sono proprio personaggi da commediola leggera, anzi vivono drammi intensi pur essendo spiritosi, divertenti e affascinanti come poche coppie viste sul grande schermo. Lui era un bambino iperattivo, per questo impasticcato fin dall’età di otto anni, cresciuto senza mai sentirsi all’altezza della sua vocazione (studiare medicina) e finito per comportarsi come il poco di buono che non è mai stato per davvero. Lei una studentessa d’arte e fotografia dal talento tarpato da una malattia invalidante e incurabile, abbandonata da tutti per le “troppe attenzioni” che richiede la sua condizione. Si chiude in sé stessa per non essere di peso agli altri e finisce prigioniera volontaria di una solitudine che le sembra l’unica strada per mantenere intatta la propria dignità.

È vero, lo ripetiamo, il film è una commedia, quindi finisce bene (lo vuole la stessa definizione di commedia) e tratta tutte queste tematiche con il giusto equilibrio tra leggerezza e commozione, senza mai cadere nel melodramma. Forse la pellicola non sarà stata la rivelazione del decennio, tuttavia fa riflettere molto e si lascia guardare con grande interesse sociologico-scientifico, condito da un tocco “horror”. Un brivido di orrore che corre qua e là di tanto in tanto, soprattutto quando si segue Jamie al suo corso di formazione come venditore farmaceutico presso la Pfizer, e si sentono uscire dalla bocca dell’insegnante affermazioni che sono un mix di Pura Ipocrisia e Hannibal the Cannibal. Questi connubi a dir poco inquietanti sono realmente alla base della logica buonista e perversa che muove il motore economico più redditizio al mondo, come ha rivelato Jamie Reidy, laureato a Notre Dame e ufficiale dell’esercito degli Stati Uniti prima di “portare la borsa” per Pfizer durante l’età dell’oro del gigante farmaceutico dal 1995 al 1999, sulle cui testimonianze autobiografiche si basa il film.

Una clip del film durante il corso per diventare venditore Pfizer di Jamie Randall

Nonostante Love and other drugs sia molto diverso da Pretty Woman come svolgimento della trama e tematiche, mentre scrivevo questa recensione mi è tornato in mente proprio quel film, con Julia Roberts nella parte di una prostituta di strada e Richard Gere in quella di un ricco e freddo uomo d’affari dal cuore tenero. Forse per la somiglianza tra le due attrici o per la profondità dei temi sociali trattati con leggerezza o ancora per l’amore che inizia come unicamente carnale e finisce per trascendersi in una dimensione salvifica e autentica, non saprei dire di preciso, fatto sta che i due film potrebbero essere affiancati tra loro in una videoteca ideale.

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