Il bacio della vita – How to save a life, 2021

Il romanzo di Eva Carter, pseudonimo di Kate Harrison la quale pubblica anche come Kate Helm, copre diciotto lunghi anni intercalando la narrazione in prima persona tra i personaggi di Joel, Kerry e Tim.

Joel Greenaway è una promessa del calcio, diciassettenne, che ha un arresto cardiaco la notte di Capodanno del 1999-2000, mentre sta giocando a pallone con gli amici.

La sua coetanea Kerry Smith, introversa e altruista e da sempre segretamente innamorata di lui, è l’unica che se ne accorge e che interviene e lo rianima.

A rimorchio, la segue l’impacciato quanto represso migliore amico, Tim Palmer che, pur volendo studiare come medico, non ha abbastanza sangue freddo per combinare niente e rimane paralizzato per i 18 lunghissimi minuti che occorrono ai Soccorsi per arrivare sul posto, mentre Kerry opera la pesante manovra di rianimazione.

Per svariate ragioni, il merito principale dell’operazione di salvataggio va a Tim, ma questo non impedisce a Joel e Kerry di innamorarsi profondamente e di vivere una travolgente quanto breve storia d’amore.

Il connubio di amore e morte che i due sperimentano sulla loro pelle li unirà tutta la vita, ma il dente avvelenato della morte continuerà a tormentare la sfortunata coppia a intervalli regolari, finché non verrà definitivamente sconfitta dopo 18 anni, che ben esprimono la durata emotiva dei 18 minuti durante i quali Joel era morto, Kerry tentava di riportarlo alla vita e Tim restava a guardare, paralizzato dallo shock. Perché anche Tim è parte della complicata equazione che costituisce la seconda occasione di Joel e, di riflesso, di ognuno di loro e di molte altre persone corollarie.

Al posto che trovarsi senza un figlio o divorziati, i genitori di Joel riscoprono l’unità e il senso della famiglia, istituendo la data del 1° gennaio come quella del suo secondo compleanno.

La madre di Tim, una donna indurita dalle sofferenze della malattia e dell’abbandono, trova pian piano la pace nel credere che il figlio sia un eroe e un grande medico.

A sprofondare lentamente, invece, sono proprio i tre protagonisti. Joel non si riconosce più in quel corpo inaffidabile e in quel cervello danneggiato da ipossia e farmaci e si getta nell’autocommiserazione distruttiva, Tim minaccia di soccombere a causa della sindrome dell’impostore, mentre Kerry si sotterra nell’abnegazione, attraversando periodi di ben mascherata depressione trovando sollievo nella pratica di sport estremi.

In realtà, tutti e tre sono disorientati da ciò che è loro capitato e il libro tratta con equilibrio e sobrietà i drammi che devono affrontare le persone che toccano con mano la morte. Perché la morte è il destino di tutti e finché non ce la troviamo davanti, in un modo o nell’altro ma pur sempre spietata e per nulla romantica, viviamo in modo fuorviante e falsificato. Chi viene visitato dalla morte, invece, non riesce più a reintegrarsi nella società composta per la maggior parte da coloro che ne fanno un bieco spettacolo per fare audience o fingono che non esista.

Trovare il proprio posto nel mondo è già difficile di per sé, ma doverlo trovare dopo essersi completamente smarriti oltre la soglia è una vera sfida che i tre protagonisti vincono alla grande, anche se necessitano di tanto tempo per farcela. E questo è molto realistico e umano. Perché siamo tutti eroici e tutti altrettanto fragili e non esiste azione, nel bene e nel male, che non lasci in noi profonde conseguenze e ferite che necessitano di tanto tempo per guarire. Poter leggere una storia che parla di questo, è un toccasana che fa lievitare l’empatia verso il prossimo e lascia con la certezza che ci sia sempre speranza di ricominciare. Almeno fino a che il nostro cuore continuerà a battere.

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